martedì 22 febbraio 2011

1986: Excitebike!



Al giorno d'oggi un videogioco come Excitebike fa sorridere. Basta vedere la copertina del gioco qui sopra, con tutti i suoi grossi pixel (stavo scrivendo pixelloni, ma è quasi turpiloquio...) per capire tante cose. I videogiochi a scorrimento con grafiche cubiste e un audio che ricorda da vicino le suonerie dei primi cellulari sono spariti da talmente tanto tempo che mi pare una vita. Credo che il bambino medio di ultima generazione, tendenzialmente viziato, tecnologicamente avanzato e con competenze informatiche che surclassano quelle di un adulto medio, piuttosto che giocare con una cosa così preistorica farebbe volentieri i compiti per casa. Nella metà degli anni 80 però, per un bambino avere in casa il Nintendo era il massimo della vita. Per un bambino che consumava il giardino di casa in sella ad una BMX kittata con un marmittino di cartone sotto la sella, imitando con la voce il rumore di una moto, avere il Nintendo e la cartuccia di Excitebike valeva un tredici milionario al totocalcio per un maschio adulto. Io il Nintendo l'avevo conquistato implorando e perseguitando i miei genitori fino allo sfinimento, contagiato dalle ore passate a giocare a casa del vicino, che essendo di famiglia benestante lo aveva ricevuto in regalo appena uscito. Il tutto ovviamente valeva solo ed esclusivamente rispettando la clausola di impegnarmi ad ottenere certi risultati in ambito scolastico. Quando finalmente ricevetti la scatola con la agognata console il gioco però era ormai fuori catalogo e non avevo altra scelta se non quella di farmelo prestare o fare uno scambio temporaneo di titoli col mio vicino di casa. A quel punto accendevo il grande Telefunken in salotto e correvo seriamente il rischio di bruciarmi la vista ed il cervello giocando per ore ed ore. Per non parlare del rischio, spesso avveratosi, di prendermi una carrettata di improperi da mia madre, che come è giusto che fosse, non gradiva per niente un figlio rimbambito da troppa tv e videogames. Il gioco, come la quasi totalità dei giochi di sport di quel periodo, era davvero molto semplice. Si trattava di guidare la propria motoretta il più rapidamente possibile per due giri di un tracciato stile supercross, con quattro corsie e tribune gremite sullo sfondo, schivando vari ostacoli e sfruttando una sorta di effetto turbo per accelerare nei punti chiave. Col turbo però era vietato esagerare, pena una sosta a bordo pista per far raffreddare il motore surriscaldato. Facevi un piccolo errore su un salto e ti ritrovavi a cappottare giù dalla rampa, finendo lontano dalla moto e perdendo un mucchio di tempo. Tra le varie caratteristiche vale la pena sottolineare che Excitebike ne aveva una incredibile (all'epoca) : oltre ai vari tracciati proposti di default dal gioco esisteva la possibilità di creare le proprie piste! Si poteva quindi piazzare sul tracciato ogni tipo di ostacolo presente sulle piste standard: dalle pozze di fango, ai panettoni, alle rampe, per finire ai tanti salti di varie misure ed altezze. Una volta ultimato il lavoro non rimaneva che mettere in moto e orgogliosamente testare la propria pista cercando di migliorare ogni volta il tempo totale.
Preso da questi ricordi di gioventù sono andato a caccia di qualche informazione in più su questo videogame. E' stato lanciato da Nintendo nel 1984 sul mercato giapponese, è arrivato da noi nel 1986 e nelle mie mani circa un paio di anni più tardi. Ho scoperto con sorpresa e con molto piacere che ne è stata fatta una riedizione per la recente Nintendo Wii, scaricabile con un tot di punti Wii (somma che ora non ricordo con esattezza), con la stessa meccanica di gioco a scorrimento, la stessa possibilità di crearsi le piste ed una grafica un pò più al passo coi tempi. Io la Wii ce l'ho. Quasi quasi.......

mercoledì 16 febbraio 2011

Quarant'anni fa...On Any Sunday


Quarant'anni fa di certo il mondo girava meglio di adesso. Certo, ora fa tutto talmente schifo che allora doveva andare meglio per forza. Io quarant'anni fa non ero ancora nato e forse farei meglio a stare zitto anzichè fare lo spaccone dicendo la mia su qualcosa che non so. Ma mi permetto di dire che almeno per chi praticava per svago, per passione o per mestiere il motociclismo in fuoristrada nelle sue diverse discipline, a quei tempi le cose giravano sicuramente meglio di adesso. E su questo punto la mia età anagrafica non conta molto, perchè ho la prova inconfutabile che quello che ho appena affermato è vero. Guardatevi "On any sunday" e mi direte. Ecco la prova di cui parlo. Non mi ricordo nemmeno che cosa ha attratto la mia attenzione su questo film-documentario, forse saranno state le solite divagazioni sulla rete alla ricerca di filmati di motocross d'epoca, che mi avevano portato a leggere la recensione del dvd di On Any Sunday scatenando la mia curiosità. Poco importa. L'importante è che la curiosità mi aveva spinto a procurarmene una copia. Ricordo bene la sorpresa ed il gran gusto della prima visione (ed anche della seconda, terza, quarta, ecc..), e di aver ringraziato i miei genitori per avermi mandato fin da piccolo ai corsi di inglese, senza la cui comprensione ci si perde una voce narrante realmente brillante ed ironica. Ad ogni modo anche senza voce narrante la visione è più che meritevole. Per raccontare On Any Sunday si potrebbe dire che è uno spaccato di quello che era il mondo delle competizioni nelle varie tipologie di motociclismo, a quel tempo prevalentemente in fuoristrada, negli Stati Uniti del 1970. O si potrebbe dire che il film si basa principalmente sull'intreccio delle vicende di una stagione di corse di due piloti professionisti, Mert Lawill, campione in carica del campionato AMA Grand National e Malcolm Smith, principalmente "endurista" e desert racer. Ai due si aggiunge Steve McQueen nei panni dell'amatore, seppur di lusso, che per passione e divertimento partecipa a qualche competizione, peraltro con ottimi risultati. Io però per parlare di On Any Sunday partirei dagli ultimi minuti. Queste ultime immagini, in cui i tre protagonisti principali disegnano insieme curve sulla sabbia di una assolata spiaggia deserta racchiudono a mio parere il senso del film: il piacere ed il divertimento di correre in moto anche solo per svago e di farlo assieme agli amici con cui si condivide questa passione. I tre, tra le varie evoluzioni  in sella alle proprie moto ridono e scherzano e mi piace pensare che non sia solo per esigenze di copione. Sembrano divertiti davvero. On Any Sunday comunque non è solo questo. E' vedere gare ora improbabili, come quella di enduro di Elsinore, in cui il percorso di gara attraversa le strade del paese sotto gli sguardi curiosi degli abitanti. O la scalata alla salita Widow Maker, la "crea vedove". Una salita di una pendenza pazzesca lungo un versante di una montagna , in cui i più strani figuri in sella alle più strane moto, di serie o modificate ad hoc per lo scopo, cercano di arrivare in cima o quantomeno più in alto di ogni altro contendente. Ci si può stupire di quanto forte riuscivano a correre le lunghe e polverose gare nel deserto con le moto che c'erano nel 1970, qualcuno addirittura portando con sè il proprio cane attaccato al serbatoio. Si può ammirare un pilota, di cui ora mi sfugge il nome, che dopo essersi schiantato a bomba contro le balle di paglia in una gara di flat track ed essere stato successivamente caricato pesto e sanguinante in ambulanza, subito dopo è di nuovo sulla moto tutto incerottato, per giocarsi comunque una ormai minima chance di portare a casa il titolo AMA Grand National. Possiamo capire quanto duro dev'essere per un pilota famoso e titolato negli Stati Uniti come Dick Mann dover rinunciare a giocarsi le sue carte di vincere il campionato Grand National all'ultima gara di dirt track per colpa di una ferita causata da uno stupido buco in uno stivale logorato dall'uso. Possiamo scoprire quanto ci colpisce vedere il campione in carica del campionato 1969 AMA Grand National Mert Lawill che va alle gare guidando per ore ed ore il proprio van per le strade americane, con la propria moto ed il resto della roba all'interno, ricevendo il cambio dal proprio meccanico di tanto in tanto e fermandosi solo per pisciare e mangiare qualcosa. E tutto questo tribolare per poi concludere anzitempo la gara spingendo la moto verso il proprio van a causa di un banale guasto. Se era così per la tabella numero uno, figuriamoci cosa doveva essere il solo fatto di andare alle gare per gli ultimi. Queste cose erano normali, tanto quanto al giorno d'oggi  è normale vedere alcuni piloti delle garette regionali arrivare in camper, o alcuni team che partecipano al campionato triveneto arrivare con bilico, tenda e meccanici al seguito. Le scene in cui lo vediamo intagliare i tasselli delle proprie gomme con un cutter per modificarne il grip prima di una gara o lavorare la sera nel proprio garage alla mola un pezzo del motore della sua Harley Davidson XR fanno tenerezza in confronto a quello che siamo abituati a vedere ora. E' evidente che una volta c'era tanta passione per le corse quanta conoscenza di meccanica e dedizione nel mettere a punto la propria moto. E questa è una cosa che è ben avvertibile nella visione del film. C'è questo e molto altro ancora in On Any Sunday, un dvd che merita senz'altro un posto nella videoteca di chiunque sia attratto dal mondo delle moto da fuoristrada d'epoca. Ed è obbligatorio per chi come me più che esserne attratto, dei ferrivecchi ne ha fatto (purtroppo o per fortuna) una mania.

lunedì 14 febbraio 2011

Un pezzo di ferro arrugginito da buttare... o forse no?


Lo avevo appoggiato su una cassetta di ferro ribaltata con un pezzo di cartone sopra, una cassetta in cui prima dell'avvento della plastica si usava infilare i vecchi bottiglioni di vetro da due litri, anzichè lasciarlo appoggiato sul cemento grezzo del garage o buttarlo fuori sul retro del giardino. Ero impietosito da quanto il tempo passato, l'abbandono e le intemperie avessero ridotto quel povero telaio ad un ammasso di tubi di ferro che in alcuni punti erano corrosi dalla ruggine e da cui la vernice opaca si sfogliava solo a guardarla. Avevo preso il telaio assieme alla quasi totalità del resto della moto, per avere un pò di ricambi ed un motore utili per una Aprilia 250 MX del 1984 grippata che avevo in casa da qualche tempo. Mi pareva l'occasione giusta per mettere insieme un po' di altri pezzi ed iniziare a lavorare su questa moto. Il venditore mi aveva accennato per telefono che si trattava di una MX 250 dell'84 che aveva smontato per un progetto di restauro poi abbandonato. Al momento del ritiro dei vari pezzi però qualcosa non quadrava: era chiaro che la moto non era una MX 250 dell' 84. Si trattava invece di una RX 250 dell'83. La compatibilità dei pezzi tra le due moto si riduceva purtroppo per me a ben poco! Parte del motore, pedane appoggiapiedi, forcellone e leveraggio, carburatore, cassa filtro, un pò di minuteria e qualche altra cosa di poco conto. A quei tempi di anno in anno stravolgevano le moto e dunque sospensioni, freni, mozzi ruota, sovrastrutture, sella, serbatoio, espansione e silenziatore erano tutti diversi e non utilizzabili sulla moto che avevo a casa. Nonostante questo e per il prezzo popolare, avevo abbassato i sedili posteriori della macchina e mi ero caricato tutto. Il motore mi serviva assolutamente, del resto della roba qualche cosa avrei fatto. 
A mente fredda non mi ero pentito della decisione presa. Ogni volta che entravo in garage però, l'occhio mi cadeva sul telaio nudo, appoggiato sulla cassa di ferro. Certo, avrei potuto venderlo, come il resto dei pezzi che non mi occorrevano, ma spedire un telaio sarebbe stato più complicato che spedire un silenziatore, una sella o qualsiasi altro particolare della moto. Eppoi a chi poteva servire un telaio? Tutti vanno in cerca di motori, parti in plastica, ruote, forcelle e ammortizzatori, ma se uno non ha un telaio non parte neanche alla caccia del resto. Certo, può succedere che un telaio si rompa, ma di solito è più semplice saldarlo e aggiustarlo che cercarne uno di usato col rischio che sia messo uguale o anche peggio. Benchè inutile e poco commerciabile, di sminuzzarlo col flessibile o buttarlo via nel ferro neanche a parlarne, non ho le palle per fare questo tipo di cose. Piuttosto lo avrei appeso con un gancio al soffitto per l'eternità. Alle volte però nell'ambito degli appassionati di queste vecchie moto succedono cose incredibili. Potenza di internet e di un forum di appassionati di fuoristrada d'epoca. E così quel telaio che per me era del tutto inservibile si era rivelato invece utilissimo per qualcun altro. Qualcuno che lo andava cercando da anni senza mai riuscire a trovarlo, perchè in Germania di Aprilia RX 250 dell'83, da quello che mi ha detto, ne hanno vendute una decina in tutto. E così, da vicino a Francoforte, Peter è sceso a prendere il telaio che gli avrebbe permesso di rimettere a posto la sua RX, la moto della sua gioventù ed in suo possesso da allora. Il telaio originale della moto infatti lo aveva segato e modificato negli attacchi per accogliere le sovrastrutture ed i componenti del modello 1985 e modernizzarne così l'aspetto. Dopo quasi trent'anni, pentito dal ritocco fatto in gioventù, aveva provato a cercare senza successo in vari mercatini, anche in Italia, un telaio. Ed un telaio, pur se ferito dal tempo, dall'incuria e dalle intemperie alla fine era riuscito a rimediarlo. Temevo che Peter rimanesse deluso da tutta quella ruggine e da quella vernice rovinata, ma dal suo sorriso, dalla stretta di mano e dai ringraziamenti al momento di tornare a casa ho capito che invece era davvero contento. Quantomeno per il fatto di poter finalmente realizzare il progetto di rimettere a posto la sua moto.